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Una commovente storia di amicizia, una storia molto bella, che
raccoglie gran parte del percorso del popolo sahrawi e che descrive
molto bene il senso dell’amicizia per i sahrawi e come si vive
l’infanzia negli accampamenti di rifugiati. E’ soprattutto una storia
di donne. C’è una bellissima descrizione dell’uso che fanno i sahrawi
del linguaggio, perché i sahrawi ti dicono mezza frase in arabo, mezza
in spagnolo, e se parlano in italiano mezza anche in italiano. Non
voglio scoprire niente, vorrei veramente invogliarvi a leggerlo perché
secondo me ha una fine strepitosa, inattesa, molto bella.
FATIMA
MAHFUD, Rappresentante del Fronte Polisario
Recensione a cura de Il Secolo XIX, 27 maggio 2009
Quel muro dimenticato
di SILVANA ZANOVELLO
LA FAVOLA del muro dimenticato. Dal Sahara Occidentale alla Baia del Silenzio, a Sestri Levante, per il
Festival Andersen che da domani per quattro giorni proporrà spettacoli di strada, convegni, incontri, iniziative
solidali, presentazione di libri, con il Premio riservato alle fiabe inedite, sabato mattina nel Convento
dell’ Annunziata, e con i racconti recitati da Daniele Timpano, Ascanio Celestini e Maurizio Maggiani.
Assieme a tutto questo, approda anche una storia che solo apparentemente ha contorni irreali. È destinata a
scuotere le coscienze ma non per questo a scontrarsi con la festosità di migliaia di visitatori e con i personaggi
che presentano all’Andersen il volto più colorato e spettacolare della loro cultura, come le Hulan, le
“star” che arriveranno venerdì e sabato dalla Mongolia, musiciste e contorsioniste diventate ambasciatrici
di un’arte millenaria e non più repressa, o come quelli che rivedono e correggono diverse espressioni di
clownerie quali l’australiano Tony Rooke o l’argentino Santiago Moreno, che si potranno incontrare “a sorpresa”
in diverse postazioni domani, venerdì e sabato. La “favola” del muro dimenticato, ospitata dall’Andersen
nella sua sezione “Realtà dal mondo” - che ha già portato alla ribalta la tragedia dei bambini soldato
in Africa e il riscatto dei niños de rua nelle favelas brasiliane attraverso la danza e la lotta della capoeira
- dura da trent’anni. I mass media però, anche se continuano a ricordare la caduta del Muro di Berlino e la
dolente quotidianità che si consuma intorno al conflitto tra Palestina e Israele, non ne parlano quasi mai. Il
muro dimenticato è la barriera lunga 2.700 chilometri, presidiata da centomila soldati e da più di un milione
di mine , che recinta il territorio del popolo Saharawi fin dal 1981: ai tempi della guerra di liberazione del
Fronte Polisario, un conflitto divampato nel ’74 quando la Spagna abbandonò la sua colonia, subito occupata
dal Marocco, e i nomadi che rivendicavano l’indipendenza fondarono nel deserto algerino la Repubblica
democratica Saharawi in esilio. C’è questa realtà dietro il romanzo che sarà presentato venerdì alle 18,30
nel Convento dell’Annunziata, attraverso la lettura di alcuni brani da parte di Massimo Mesciulam, alla
presenza di Omar Mih e di Fatima Mahfud, rappresentanti diplomatici del Fronte Polisario in Italia. Il libro
s’’intitola “La bambina delle nuvole” (Rizzoli, 394 pagine, 11,50 euro): l’autrice Sabrina Giarratana lo ha
scritto ripercorrendo le esperienze di alcune organizzazioni solidali come “Genova e il Tigullio con il popolo
Saharawi” e l’associazione “La Baia delle Favole”, che ogni estate ospitano in Italia bambini Saharawi.
La protagonista del libro è una di loro e l’anno successivo al suo soggiorno riceve a sua volta una piccola
amica italiana nel suo campo. Racconta Giuseppe Figari, medico e responsabile dell’associazione “Genova
e il Tigullio con il popolo Saharawi”, che le loro case di sabbia stanno in piedi due o tre anni, l’intervallo
tra una pioggia e l’altra, e che il terreno dove la sabbia è impastata di sale impedisce ogni coltivazione. Anche
quando erano nomadi, i Saharawi vivevano in una terra avara. Nel loro territorio si trova una ricchissima
miniera di fosfati dai quali si ricavano fertilizzanti agricoli, che ora appartiene al Marocco. Nei campi i
bambini imparano a leggere e a scrivere. I più fortunati possono proseguire gli studi fino all’università, in
Algeria oppure a Cuba. In controluce, dietro la favola della “Bambina delle nuvole”, si racconta la loro vita
e si coglie qualche segnale che potrebbe far riflettere anche i politici. Tutto infatti, nel romanzo destinato a
lettori giovanissimi, ha un suo aggancio con la realtà: la conchiglia che le due amiche trovano in mezzo al
deserto, portata da chissà chi, ormai lontana chilometri e chilometri dal mare e destinata ad accompagnarle
come un oggetto rituale per tutto il loro percorso di reciproca conoscenza, è un reperto misterioso per i
piccoli Saharawi, ma non per i loro nonni.
Un tempo, infatti, molti si spingevano sino al mare, a Dakla, la Villa Cisneros degli spagnoli, dove alcuni di
loro diventavano pescatori. E dove si dice che il Marocco pensi a investire sull’industria del turismo. L’anziana
saggia che la piccola ospite italiana guarda con soggezione come un genius loci, una fata, è l’espressione
di un reale benefico matriarcato: di una rete di donne, anche mogli di ex combattenti, che nei campi
si sono organizzati per tenere in vita un’impalcatura schematica ma solida di società civile. C’è poi il fratello
della protagonista. Non è uguale a quei ragazzini che fino a una decina d’anni fa vivevano in completo
isolamento. Chissà se continuerà gli studi, se potrà lasciare per sempre il suo deserto confinato. È un’altra
storia e il libro non la racconta. Certamente può già avere qualsiasi tramite con il mondo attraverso Internet.
La sorellina lo ascolta mentre discute con il nonno, che lo esorta a non farsi le sue ragioni con le armi: «I
Saharawi non sono mai stati terroristi», gli dice. Fino ad ora. |
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Recensione a cura di Zazie News, l’Almanacco dei libri per ragazzi, 23 giugno 2009
La bambina delle nuvole
di SILVANA SOLA
Da quanti anni il popolo Sahrawi vive privato dei diritti civili, straniero nella sua terra, nel Sahara Occidentale,
occupato dall’esercito marocchino? Da quanti anni una parte di questo popolo è confinato nei campi
di Tindouf, nell’Hammada algerina, circondato da un deserto di pietra e sabbia, luogo avaro e inospitale?
Sono trascorsi oltre trent’anni: e ancora oggi il popolo Sahrawi dei campi sopravvive solo grazie agli aiuti
umanitari internazionali.
Avevo sentito parlare del Fronte Polisario, ma non conoscevo l’esistenza di un popolo “ostaggio del deserto
algerino” fino al giorno in cui non me parlò Veronica Olmi del Teatro Verde.
Poi ho letto La Bambina delle nuvole, Rizzoli e tra i molti ringraziamenti che l’autrice, Sabrina Giarratana,
fa, il primo va a Giulia Olmi, sorella di Veronica, e membro del Cips, Comitato Internazionale per lo Sviluppo
dei Popoli. Coincidenze…
Nel libro, omaggio sincero, garbato, documentato, alle figure femminili che hanno contribuito alla “vita”
del popolo Sahrawi si narra di mari lontani, di conchiglie della memoria, di tende accoglienti e di tazze di
thè, di amicizie possibili, di geografie impossibili che si sostituiscono ad una cartografia in cui i confini
sono tracciati da un potere sordo, despota e avido. Fili che si intrecciano per raccontare una storia di donne,
di bambine, di sogni e di speranze.
Sabrina scrive di Aminatou e di Bakita, di Mariem e di Jamila, delle ONG e di ciò che ha visto nel viaggio
che l’ha portata davvero nella khaima, viaggiatrice attenta che non si spaventa di fronte alla guetma. La
tempesta di sabbia passa, la sofferenza del popolo Saharawi rimane.
Nel libro, che dichiara il dolore di una vita negata, c’è la speranza del cambiamento:
“Luna rossa, mezza luna / Oltre il muro c’è una duna / C’è una terra che mi manca / C’è il mio mare, riva
bianca/ Mezza luna, luna rossa / Fa che libera io possa / Ritornare alla mia terra / Nel mio mare, senza
guerra”. |
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Recensione a cura de Il Regno, quindicinale di attualità e documenti,
Dehoniana Libri, settembre 2009.
Estratto dell’articolo “AFRICA. Storie per il sinodo.
Oltre il muro di sabbia, vicende e memoria del popolo sahrawi”
di MARIA ELISABETTA GANDOLFI
In una conchiglia
L’aiuto ai saharawi può arrivare anche attraverso la sensibilizzazione del pubblico occidentale nei confronti
della loro storia. Così anche un libro per ragazzi è un mezzo per venire a conoscenza di fatti complessi
senza cedimenti favolistici. Grazie a un’ONG italiana, il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli,
che da anni lavora nei campi di Tindouf, è nato dalla penna di Sabrina Giarratana La bambina delle
nuvole. Una storia del Sahara. Il libro è l’occasione per venire a contatto con la vita quotidiana dei campi
attraverso l’amicizia di due bambine, una italiana dal nome africano- Bakita- e una saharawi-Aminatou. Tre
generazioni, infatti, si sono ormai susseguite in più di trent’anni di vita in esilio, organizzando una struttura
ben lontana dall’immagine di caos e miseria che viene in mente pensando a dei profughi, nel deserto.
Dopo quella che viene chiamata “la grande fuga” del 1975-1979, i saharawi hanno costruito quattro grandi
campi in territorio algerino che prendono il nome da altrettante città di là dal muro: El Ajoun, Ausserd,
Smara e Dakhla. Ogni “città”- wilaya -è suddivisa in sei daira, ciascuna delle quali possiede un dispensario,
una scuola elementare e una scuola materna. Ogni daira, infine, è suddivisa in quattro barrios, al centro
dei quali si trova la cisterna d’acqua, rifornita giornalmente con un camion. La Bakita della storia, figlia
di una cooperante italiana, viene ospitata nella khaima del nonno di Aminatou, la tenda sahrawi un tempo
tessuta con peli di cammello, oggi spesso sostituita da quelle degli aiuti umanitari. E così viene a contatto
con la vita quotidiana dei campi: scuole, dispensari, un ambulatorio dedicato a chi ha subito mutilazioni in
guerra;conosce l’hassania, il dialetto arabo che lì si parla;s’interroga sugli usi e costumi locali, per il fatto
che la sua ospite a dieci anni è già promessa sposa;impara a guardare con occhi diversi il suo andare a
scuola, visto che dai campi, dopo un percorso scolastico che dura sino alle nostre medie, spesso i giovani
vanno per molti anni all’estero per studiare: a Cuba, ma anche ad Algeri, in Spagna, in Italia. Ma soprattutto
scopre come un oggetto semplice e misterioso come una conchiglia trovata in pieno deserto possa ricostruire
un pezzo significativo della memoria collettiva saharawi:non solo delle proprie tradizioni, ma anche
della guerra, dei legami familiari spezzati. Per un popolo che vede nel proprio orizzonte un futuro incerto
il recupero del passato è fortemente strutturante dal punto di vista dell’identità. I saharawi nella precarietà
delle tende hanno infatti due musei.
Diritti umani e riconoscimento
Il racconto ha una struttura narrativa efficace, con al centro l’indagine delle ragazzine per scoprire a chi appartenga
la conchiglia, e mantenendo una cura molto attenta al dettaglio, tipico del reportage, riesce anche
ad accennare, pur con uno sguardo complessivo “militante”, ad alcuni degli snodi più problematici- non di
fantasia -della vita democratica della Repubblica: la sirena della lotta armata e il suo fascino soprattutto per
i più giovani;o la presenza nei campi di prigionieri di guerra marocchini;o come la memoria della guerra
debba essere composta anche con l’”umanità” del nemico;e, infine, come il rapporto fra tradizione religiosa
(islamica) e modernità porti spesso a conflitti tra le generazioni, dove “a volte i giovani pensano in modo
più vecchio dei vecchi”.
Vero è che la struttura del governo saharawi risente del fatto di vivere in una condizione permanente
d’emergenza militare- che poi col tempo è venuta a calare-,ambientale, sia per l’ostilità del clima, sia per il
relativo isolamento in cui i campi si trovano…
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Recensione a cura di Serena Rossi, da Libri: Parole da Amare, Rubrica Dedicato a te, 5 giugno 2014
“La bambina delle nuvole. Una storia del Sahara”, Sabrina Giarratana, Rizzoli (2010).
Estate 2013. Pigneto (Roma), a far due chiacchiere con un amico che non vedo da un po’. «Non sai chi è Mariem Hassan?» domanda incredulo. «Solo di nome, ma non conosco la sua storia» rispondo incuriosita.
È così che mi avvicino per la prima volta alla storia del popolo sahrawi: attraverso il racconto appassionato di un amico che ha conosciuto Mariem, cantante sahrawi che da anni incarna la voce fiera e combattiva del suo popolo.
Quando sono “inciampata” nel libro di Sabrina Giarratana, frutto di un viaggio che ha intrapreso nel 2007 nei campi profughi sahrawi di Tindouf, e ho letto “A me piace Mariem Hassan perché usa il t’bal e il tidnit insieme alla chitarra elettrica”, mi è sbocciato un sorriso.
A volte i libri percorrono molti chilometri per arrivare fino a te, per l’esattezza 2500 km, che è la lunghezza del muro costruito e minato dal Marocco per impedire ai Sahrawi di far ritorno alle proprie case.
L’oppressione marocchina da un lato e la resistenza dei Sahrawi dall’altro danno vita a un potente canto di ribellione, speranza e pace, nella bocca di Bakita e Aminatou, le bambine protagoniste di questa splendida storia di amicizia.
Consigliata anche la visione del documentario sulla violenza subita dalle donne sahrawi e l’impatto della guerra sulle loro vite “
SOLO PER FARTI SAPERE CHE SONO VIVA” di Emanuela Zuccalà e Simona Ghizzoni (http://video.corriere.it/solo-farti-sapere-che-sono-viva-proiezione-anteprima-italiana/9d4fb93a-52d3-11e3-b1ef-e7370d1a3340)
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Per chi volesse saperne di più, ecco alcuni link utili:
1) Sito dell’autrice Sabrina Giarratana: http://www.sabrinagiarratana.it/more.html
2) Sito della cantante Mariem Hassan: http://www.mariemhassan.com
3) http://www.saharawi.org
4) http://www.tindoufexpress.org/tep/?p=1312
da cui si può scaricare gratuitamente la versione riassuntiva de “L’Oasi della Memoria – La memoria storica e le violazioni dei Diritti Umani nel Sahara Occidentale”.
Serena Rossi
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